L’amministrazione Obama, dopo essere intervenuta con forza nell’economia
americana con nazionalizzazioni e salvataggi bancari nei momenti più difficili
della crisi economica, si trova oggi a dover fare i conti con la gestione di un
bilancio pubblico in forte squilibrio. Per evitare che la situazione divenisse
ingovernabile il congresso nel corso degli ultimi anni ha approvato una serie
di provvedimenti che sarebbero dovuti entrare automaticamente in vigore a
partire dal primo Gennaio 2013. L’applicazione di queste leggi avrebbe condotto
verso il baratro fiscale (fiscal cliff) gli Stati Uniti, facilitando però,
attraverso ingenti tagli alla spesa ed aumenti di tasse, la riduzione di debito
e deficit. Un accordo dell’ultimo secondo (American Taxpayer Relief Act of
2012) ha evitato uno scenario di questo tipo.
Fiscal Cliff
I principali provvedimenti che sarebbero stati messi in atto in caso di
fiscal cliff sono articolati sulla base delle seguenti linee guida[1]:
·
Abolizioni
delle riduzioni fiscali approvate dall’amministrazione Bush
·
Taglio
alla spesa pubblica per un ammontare pari a 110 miliardi ogni anno da applicare
per il periodo compreso tra il 2013 e il 2022
·
Aumento
delle aliquote minime di imposizione fiscale
·
Abolizione
degli aiuti federali ai disoccupati
·
Introduzione
di nuove tasse
Come preannunciato da molti osservatori, Democratici e Repubblicani hanno
trovato l’intesa per evitare il fiscal cliff solo all’ultimo giro di orologio
del 2012. Nessuno dei due schieramenti politici voleva passare agli occhi della
nazione come il responsabile della recessione conseguente all’austerità
autoimposta. Le frenetiche trattative
hanno portato ad un accordo che ha dato origine all’“American Taxpayer Relief
Act of 2012” .
“American Taxpayer Relief Act of 2012” .
In questo accordo si mantengono gran parte dei tagli alle tasse previsti
da Bush, contemporaneamente si inaspriscono i carichi fiscali e i limiti alle
detrazioni per le fasce più alte di reddito. Non sono però previsti né
rilevanti tagli alla spesa pubblica, né l’innalzamento del tetto del debito
pubblico, né misure speciali di controllo del debito pubblico. I due partiti
hanno deciso di rinviare di due mesi il taglio alla spesa e l’innalzamento del
tetto del debito, per renderli oggetto di ulteriori negoziazioni. Ad ogni modo,
l’accordo consentirà al governo statunitense di aumentare di seicento miliardi,
nell’arco di dieci anni, le entrate fiscali. I principali provvedimenti
all’interno dell’American Taxpayer Relief Act of 2012 sono[2]:
·
Aumento
dell’aliquota fiscale al 39.6% sui redditi a partire 400.000$ annui.(450.000$
per dichiarazioni fiscali congiunte di marito e moglie) Mantenimento delle
aliquote vigenti nel 2012 per i redditi inferiori a 400.000$ annui.
·
Aumento
dell’aliquota sui “capital gain” al 20% per coloro che hanno un reddito pari o
superiore ai 400.000$ / 450.000$ per dichiarazioni fiscali congiunte di marito
e moglie. Mantenimento della stessa aliquota, al 15% (come nel 2012), per i
redditi inferiori a 400.000$.
·
Applicazione
dell’aliquota del 20% ai dividendi azionari per coloro che hanno un reddito
pari o superiore ai 400.000$ / 450.000$ per dichiarazioni fiscali congiunte di
marito e moglie. Per redditi inferiori si mantiene l’aliquota del 15% vigente
nel 2012.
·
L’aliquota
sui patrimoni immobiliari superiori a 5.250.000$ sale al 40%.
·
Stretta
sulle deduzioni fiscali a partire dai redditi pari a 250.000$ annui (300.000$
annui per le dichiarazioni congiunte di marito e moglie).
·
Indicizzazione
all’inflazione per le aliquote minime.
·
Alcuni
crediti d’imposta per le famiglie più povere sono mantenuti.
·
Gli
aiuti federali per i disoccupati sono mantenuti per un altro anno.
·
Il
Medicare Sustainable Growth rate è mantenuto.
·
Blocco
degli aumenti del salario per i membri del congresso.
·
Estensione
per altri nove mesi dei sussidi nei settori dell’energia, dell’agricoltura e
dello sviluppo sostenibile.
Nonostante nei giorni seguenti l’approvazione dell’American Taxpayer
Relief Act le borse di tutto il mondo abbiano registrato chiusure positive,
numerosi opinionisti hanno espresso i loro dubbi sull’efficacia delle misure
adottate con l’accordo. Tra questi, l’economista Luigi Zingales della “Chicago
Booth School of Business” ritiene che non sia possibile rendere sostenibile
l’attuale modello di welfare “solo tassando di più i ricchi: anche negli
Stati Uniti non ce ne sono abbastanza. […] Bisogna ridurre i benefici promessi.
Ma politicamente qualsiasi riduzione degli entitlement è molto costosa. In
Italia lo abbiamo fatto sotto minaccia dello spread.
In America, dove non ci sono problemi
di spread, il sistema politico ha cercato di creare artificialmente una crisi
(il fiscal cliff) per forzare entrambi i partiti a delle scelte politicamente
costose.
Purtroppo, invece di sedersi
intorno a un tavolo e cercare un accordo sostanziale, democratici e
repubblicani hanno preferito continuare con la loro retorica elettorale. I
democratici chiedendo che, a pagare il conto, siano solo i ricchi. I
repubblicani opponendosi a qualsiasi aumento di imposte. Alla fine sul fronte
imposte hanno raggiunto un compromesso ragionevole: aumenteranno le tasse solo
per quelli che guadagnano più di 400mila dollari individualmente o 450mila come
famiglia (negli Stati Uniti esiste il cumulo dei redditi tra marito e moglie),
ovvero meno dell’1% della popolazione. Non altrettanto è stato fatto per i
tagli di spesa.” [3]
L’economista premio Nobel Paul
Krugman sembra meno pessimista del Prof. Zingales. Egli ritiene assurdo che si
debba essere ossessionati dal deficit in una situazione come quella attuale, in
cui gli Stati Uniti si finanziano sui mercati a tassi molto bassi[4]. Krugman, in un’ottica di
lungo periodo, argomenta che affinché il debito pubblico statunitense si
stabilizzi è necessario che il deficit sia ridotto di un 2% di Pil ogni anno[5]; tuttavia, egli non ritiene
questa una priorità in una situazione di difficoltà economica, a causa della
sicura recessione che affliggerebbe l’economia americana.
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